giovedì 20 novembre 2008

Il rapporto tra bambini e TV.

La dott.ssa Giovanna Cataldi* mi ha inviato un suo contributo sul tema del rapporto tra bambini e TV. La ringrazio e ne approfitto per alcune considerazioni.
E' evidente ormai da anni come la TV (ma assieme ad essa anche gli altri media) sia e sia stata capace di orientare l'opinione pubblica, il comportamento dei cittadini, siano essi bambini, giovani, adulti, anziani.

Le responsabilità educativo/formative sul piano pedagogico, che è l'ambito di nostro interesse, sono certamente notevoli.

E quando parlo di piano pedagogico mi riferisco ad un modello libero ma regolato, fondato sul rispetto dei diritti fondamentali della persona, non autoritario ma autorevole, trasparente, aperto - ma pur sempre vigile e critico - ai risultati delle ricerche in campo scientifico, multidisciplinare ma, soprattutto, condiviso.

Chi si occupa di educazione non può non farsi domande su questo tema; il problema è che ci sono poche occasioni di confronto realmente incisive.

Per questi motivi, pubblico volentieri questo articolo della Dr.ssa Cataldi; e anche perchè, a mio avviso, si intravvedono alcune idee traducibili in progetti educativi d'intervento.


Buona lettura!


informare = formare la coscienza



Televisione e pedagogia: un breve sguardo d’insieme
La tv, nel rapporto quotidiano con i suoi fruitori, svolge una inevitabile funzione informativa che può essere anche educativa in quanto educare, nell’accezione derivante dalla parola latina edere, significa “alimentare” (nutrire quindi, in tale situazione, con un alimento di natura mediatica) e, nell’accezione derivante da ex ducere, significa “trarre fuori” (da uno stato di immaturità, e, nel nostro caso, si tratta di una immaturità nel comprendere e nel percepire il messaggio televisivo).

La televisione è paragonabile ad un’arma a doppio taglio in quanto si dimostra indiscutibilmente utile, ma è realmente necessario saperla maneggiare ed adoperare correttamente.

Nulla è nocivo ai buoni costumi quanto assistere oziosi a certi spettacoli. […] scrisse questo, Seneca, in una lettera a Lucilio in cui è chiaro il ruolo assunto dall’educazione intesa come mezzo che aiuta l’intelletto a dissipare le tenebre dell’ignoranza, di quell’ignoranza evocata dall’essere spettatore (televisivo oggi) passivo che non fruisce del prodotto ma che ne è invece “fruito”.

L’educazione ad un corretto uso della televisione è una meta auspicabile e raggiungibile che può permettere, ai nostri bambini, di divenire fruitori critici e consapevoli, attivi e responsabili cittadini della realtà mediatica in cui, spesso, si trovano a vagare.

Il compito di colui che educa non è quello di rendere immuni i suoi utenti dal virus televisivo ma, bensì, quello di aiutare i ragazzi a saper maneggiare il loro “strumento cerebrale” in modo che essi sappiano leggere dietro le parole e le immagini televisive e siano in grado di distinguere il reale dal fantastico.

La nostra attenzione deve essere posta sul processo educativo che, se opportunamente strutturato e progettato con l’obiettivo di rendere autonomi e consapevoli i fruitori del tubo catodico, può essere un’àncora di salvezza per le generazioni future (ma anche per chi oggi è “già grande” perché, ricordiamoci che, il percorso educativo, di crescita e di sviluppo, si protrae per tutto l’intero arco della vita).


*Dott.ssa Giovanna Cataldi.
Pedagogista esperta in Dsa e in Disturbi familiari, laureanda in Scienze della Formazione Primaria e specializzanda in sostegno disabili.

mercoledì 5 novembre 2008

Riflessioni sulla diversità

Ho ricevuto dalla dott.ssa Nicla Lattanzio* un interessante articolo sul tema della diversità. Gli argomenti trattati rimarcano ancora una volta la necessità della collaborazione tra i diversi attori che nella Scuola sono chiamati a co-costruire il progetto educativo e terapeutico rivolto agli alunni con bisogni speciali.


Le implicazioni per una riflessione sulle diversità: l’occhiale del deficit non è sempre l’occhiale dell’handicap.

Nelle classi coesistono numerose realtà, assai differenti tra loro: bambini in situazioni di handicap, disturbi d’apprendimento, deficit d’attenzione, deficit di autostima, ecc…difficoltà, cioè, che spaziano da problemi intellettivi a problemi socio-culturali (pensiamo ai bambini immigrati).

Cosa occorre fare? Occorrono risposte diversificate e speciali a bisogni diversificati e speciali. Attivare risposte congrue ai differenti bisogni, serve a non chiudersi in un consorzio “monocausale” ma implica l’attivazione pro lavoro che va per macroaree:



Da sottolinearsi l’area del ruolo familiare, il quale non può e non deve essere sottomesso e negato dalle altre aree di lavoro, come l’Asl e la Scuola. Nel team lavora, anzitutto, la famiglia: vero primo oggetto della produzione collaborativa.


Implica la possibilità di mettere a disposizione alla persona in situazione di handicap i suoi diritti:
  • uguaglianza e non discriminazione;
  • pari dignità sociale;
  • rimozione delle condizioni invalidanti che impediscono lo sviluppo della persona umana;
  • rispetto della dignità umana;
  • partecipazione alla vita della collettività;
  • massima autonomia possibile;
  • istruzione, educazione e avviamento professionale anche con forme integrate di flessibilità fino ai 18 anni;
  • trasporto;
  • superamento delle barriere architettoniche e di comunic-azione;
  • integrazione in famiglia, a scuola, nel lavoro, nella società.

Implica una conoscenza per un progetto:
  • conoscenza del deficit;
  • raccolta delle informazioni [ incontri famiglia, insegnanti, Asl - documentazione pregressa, documentazione dossier completo, clinica];
  • individuazione dei bisogni e delle competenze [analisi della diagnosi funzionale – osservazione descrittiva e/o strutturata ].

Implica un’ adeguata osservazione atta alla conoscenza della problematica:

1. osservazione preferibilmente descrittiva;
2. vanno trascritte al momento, contro ricordi dubbiosi;
3. evitare di “andare a memoria”;
4. rilevare competenze e potenzialità del bambino;
5. fare un bilancio;
6. aiutarsi strutturando l’osservazione con test, griglie, e materiali che tendono a rilevare le abilità del bambino;
7. osservare il bambino ma anche il suo contesto socio – relazionale.

Implica la grande capacità di non giudicare il bambino ma conoscerlo e riconoscere prima di tutto le caratteristiche “buone” e valorizzarle. Essere educatori competenti significa essere supervisori delle positività per creare situazioni di ben-essere; ma anche avere padronanza della situazione con autorevolezza evitando il dominio delle emozioni del bambino.

Essere educatori validi implica la competenza del saper accogliere,conducendo il proprio pensiero verso qualcosa di più complesso, per impossessarsi di una realtà non comune ma possibile; questo è andare oltre il pensiero semplice, porsi la questione della validità circa il monocromatico.

L’offerta di possibilità plurime aiuta i genitori ad aiutare i propri figli con disabilità e non a toglierla; li aiuta nel riuscire ad essere genitori di un bambino (figlio) con certe problematiche. Condurli verso posizioni intermedie e non estreme, evitando sia quelle negative (disperazione) sia quelle positive (miracolo)!

La ricchezza della molteplicità metodologica è uno stile atto al favoreggiamento di atteggiamenti relativi all’handicap: continuativi e reali il più coerentemente possibile, per valutare obiettivi successivi, che permettano ai genitori di idealizzare progetti di vita per il figlio disabile.


* Educatrice a Bologna, laureata in Scienze della Formazione e specializzanda in Pedagogia. Articolo redatto in seguito alla frequenza di corsi c/o Memo 2007, su temi circa le Disabilità.

lunedì 13 ottobre 2008

Intervista a Andrea Canevaro, pedagogista

Ero molto preoccupato del fatto che, difronte alle disposizioni normative sulla scuola ad opera del Ministro Gelmini, nessuna voce accademica, commissione di esperti multidisciplinare, etc., si fosse pronunciata in merito. Il motivo di questa assenza è solo da ricercarsi nel fatto che i media non permettono di ricevere un'informazione ampia e completa.

Mi è sembrato utile segnalarvi questa video-intervista di Claudio Messora (Byoblu) ad un importante e preparato pedagogista accademico ex membro dell'"Osservatorio sull'Integrazione Scolastica", Prof. Andrea Canevaro, che si è dimesso dal suo incarico.

Nell'intervista vengono spiegati i motivi del suo, non isolato, gesto; grazie a quanto esprime si può comprendere il clima politico attuale su un argomento sempre più scottante e delicato quale è appunto l'integrazione scolastica. Grazie Byoblu.


link di approfondimento:
http://www.flcgil.it/notizie/news/2008/ottobre/integrazione_scolastica_cosi_non_va

domenica 12 ottobre 2008

Dialogo Scuola e Famiglia




C'è bisogno di
maggior dialogo nella Scuola.

Perché la Scuola in Italia cambi c'è bisogno di maggiori relazioni dialogiche*. In ogni direzione: al suo interno (curricoli e aspetti pedagogico/educativi, organizzativi, ....), con le famiglie (per ricostruire una trama pedagogica spesso confusa, ....), con il territorio (per dare, alle azioni didattico/educative, un senso, una direzione di cambiamento verso il futuro, ....).

Il dialogo è fondamentale per una Scuola ed una Società che vogliono ancora credere nella democrazia, nel rispetto delle libertà e dei diritti individuali di ciascun essere umano.

E' necessario un dialogo aperto, schietto, disponibile, corretto, rigoroso, orientato verso possibili orizzonti di cambiamento che, grazie alla sua pratica, renda possibile intravvedere/inventare e costruire insieme: il cambiamento è sempre verso il futuro, nostro e dei bambini.

Il dialogo non è il semplice parlare. Nella relazione dialogica c'è dell'altro.


Alcuni possibili significati di dialogo.

Dialogo è una parola ricorrente nel comune lessico pedagogico. E riveste peraltro particolare importanza in quanto la sua pratica viene implementata soprattutto all'interno di una relazione educativa o in una relazione che parla della relazione educativa.

E' uno tra gli strumenti più efficaci e indispensabili che accompagnano il genitore, l'educatore, l'insegnante, l'operatore sociale nel loro lavoro. Quando c'è dialogo c'è collaborazione e quando c'è collaborazione vi è cambiamento, dinamicità, movimento.

Il termine Dialogo deriva dal greco (dià, "attraverso" e logos, "discorso") e indica, comunemente, il confronto verbale tra due o più persone. In realtà il suo significato è più ampio e non solo circoscritto al dominio del linguaggio verbale.

Il termine Logos, che noi traduciamo con discorso o ragionamento, in realtà, contiene anche la consapevolezza del fatto di essere in relazione con la verità e la totalità (quali?), ed io aggiungo, con la complessità.

Con il dialogo - a differenza ad esempio del colloquio clinico o di un setting consulenziale - si irrompe, necessariamente, in una dimensione reciprocamente più intima, di ricerca, di scoperta dell'altro; dove l'educatore (così come il genitore) è costretto un poco ad aprirsi, a mettere in gioco il suo patrimonio esperienziale, la sua natura umana seppur mediate dalla strumentazione acquisita con la formazione (non solo professionale) e la ricerca personale.

Ma se tutti parlano di dialogo nella scuola non tutti si preoccupano delle effettive responsabilità che la sua pratica comporta in una agenzia educativa; responsabilità che costringono ad agire, sia con atti autoriflessivi, sia verso l'altro e la realtà circostante.


Dialogare implica un sentimento di genuino e reciproco rispetto.

E chi lavora in campo educativo non dovrebbe meravigliarsi di ciò.
Il rispetto verso l'altro è uno dei presupposti per poter sperimentare/costruire quella "simpatia?", "amore?" di cui parla P. Bertolini, così importante, ad esempio, in una relazione educativa.

Grazie al dialogo si apprende, si insegna, si impara, anche ad ascoltare, si collabora, etc.

In campo educativo, così come in altri campi umani, della scienza, non esistono verità assolute ma diversi modi di leggere, interpretare ed orientare gli scenari. Per questo è necessario il dialogo: per armonizzare queste differenti visioni - espresse generalmente all'interno del dominio del linguaggio - in un quadro chiaro e il più possibile condiviso.

Nessuno ha in tasca la verità delle cose ed è da questo assunto che, probabilmente, può partire un dialogo in senso genuino proprio come dovrebbe essere in una relazione educativa.

Il Logos è anche il nostro ambiente (non solo in senso naturalistico), il rapporto tra noi stessi, chi e ciò che ci circonda; ambiente nel quale, in realtà, siamo immersi e ne siamo parti integranti: con tutto ciò che, sul piano della responsabilità quantomeno pedagogica, ne consegue.

Questi credo siano alcuni spunti riflessivi per comprendere sempre meglio come praticare l'arte del dialogo, quale in fondo esso è.


Come fare in pratica: riscoprendo il piacere della ricerca educativa nella scuola, lavorando insieme per il raggiungimento, anche nel qui ed ora, di obiettivi chiari, condivisi e valutabili.




*Non utilizzo il termine comunicazione perchè troppo riduttivo o generico; non carico di significati pedagogici e culturali quali invece possiede il termine dialogo; seppur i principi della comunicazione, possano spiegare diversi aspetti di una relazione dialogica.





venerdì 27 giugno 2008

Gemellarità e dintorni

Ho ricevuto da Sabrina Schots di Gemelli in famiglia, un'interessante riflessione sulla gemellarità e sulla speranza principale di ciascun genitore ed educatore e cioè che "un giorno (i figli) possano mettere insieme........", e che qui pubblico:

"La gravidanza gemellare è un momento magico: parenti, amici e conoscenti sono lì a preoccuparsi della tua salute, si premurano di non farti stancare, vigilano sulla tua alimentazione, vanno a procurarsi la rarissima Mela Azzurra delle Ande direttamente dagli ultimi Toltechi che resistono ancora e sempre all’invasore, come gli abitanti del piccolo villaggio gallico di Asterix. Ma la gravidanza gemellare è diversa da quella singola. Ergo, una mamma gemellare (da non confondere con una bi-mamma qualunque) è diversa da una mamma singola.

Spesso i due mondi sono in silenziosa antitesi e una chiacchierata sulle quisquilie dell’allevare figli diventa presto una colta discettazione sui massimi sistemi. In generale la mamma gemellare ha la meglio, non perché sia più intelligente ma perché nei momenti topici tira fuori termini tipo monoamniotica, bicoriale, feto-fetale, vanishing twin, o magari hatching, progesterone ed eparina, e tanto basta usualmente a stendere l’avversaria.

Poi, una volta nati, la battaglia si fa ancora più aspra: “Ma sono identici! Come fa a distinguerli?” “Non li distinguo, vado a casaccio!”, “Due gemelli? Doppia fatica, non vorrei essere nei suoi panni!” “Non creda, io li nutro e li cambio a giorni alterni, ne tiro su due al prezzo di uno!” e via di questo passo.

Ma la sfida più dura è crescerli, perché tirare su due gemelli, si sa, è difficile il doppio.

Quello che vorremmo è che, al di là dei grazie e dei per piacere che da piccoli ci dicono sorridendo, al di là dei “vaffaeccetera” che da adolescenti ci urleranno in faccia, un giorno possano mettere insieme tutti questi fili, anche i più sbiaditi e contorti, e scoprire una trama dal disegno armonioso."


Sabrina Schots - www.gemellinfamiglia.it "

giovedì 5 giugno 2008

I ladri di bambini

Quando un bambino subisce una violenza sto male. Sempre. Che sia bianco, nero, rom, indiano, cinese.

Ogni tanto mi capita di ripensare ai due bambini di Basiglio vicino alla Milano del Nord. La piccola di 9 anni ed il fratello di 13. Strappati dalla loro famiglia per alcuni mesi e inseriti in due diverse comunità per minori. Il sospetto che il grande avesse abusato sessualmente della piccola. Tutto ha avuto origine da un disegno nel quale una bambina ed un bambino compivano un atto sessuale e su cui vi era scritto «Giorgia fa sesso con suo fratello per 10 euro». Disegno, in realtà, fatto da una compagna di Giorgia. Tutto falso.

Tutto vero e drammaticamente reale invece, l'incubo in cui questa famiglia è precipitata da un giorno all'altro.

Per comprendere meglio il quadro, se si hanno figli, un buon esercizio è farsi questa domanda: "Se fosse capitato a me e alla mia famiglia, cosa avrei fatto?". La risposta è nulla. O meglio, ne più e ne meno di ciò che la famiglia di Basiglio a fatto. Forse meno.

La famiglia "povera" nel paese dei "ricchi" (Basiglio è il comune più ricco d'Italia), una bimba con un lieve ritardo, qualche pregiudizio, ed il danno, forse irreversibile, è fatto. Perchè di danno grave sulla vita dei due bambini si tratta. Di chi è la responsabilità di questa vergogna? In che modo è possibile riscattare oltre due mesi di sofferenze dei bambini ed dei loro genitori?

La piccolina di nove anni portata via dai suoi genitori, dalla sua casa, dai suoi giochi, da suo fratello, dalla sua scuola, dai suoi compagni, dal suo quartiere, e senza (suppongo in modo molto professionale) neanche tante spiegazioni da parte delle assistenti sociali incaricate; anche per non "condizionare, inquinare, lo scenario del reato".

"Stia tranquilla e non faccia scene, prepari le cose dei suoi bambini e ce li consegni". Questo hanno detto alla madre le assistenti sociali. Sareste stati tranquilli voi?

Entrambi i bambini, a cui hanno certamente insegnato l'importanza di dire sempre la verità, non sono stati creduti. Eppure sin dall'inizio la verità l'avevano detta, forse urlata. Ma i grandi non li hanno comunque creduti.

La madre ed il padre, su cui ha pesato per giorni e giorni, un'accusa inespressa e velata: "E voi dove eravate?", "Siete proprio sicuri di non sapere nulla di questa faccenda?", "Signora, lei è una mamma, come ha fatto a non accorgersene?". Impossibile difendersi da sospetti così gravi e infamanti.

In realtà siamo di fronte a gravissime responsabilità di tutta la comunità cosiddetta "civile":
della scuola (insegnanti della classe e dirigente scolastico), della gente di Basiglio (la gente del quartiere), dei servizi sociali comunali (assistenti sociali, psicologi e operatori), del tribunale dei minori (giudice di turno), della politica (assessore e sindaco). Tutti hanno fallito.

Responsabilità quantomeno legate all'inefficienza del sistema di rete, di quel sistema fatto di finanziamenti (spesso insufficienti), operatori (spesso assenti o impreparati), procedure operative (poco chiare o non definite), raccordi tra i servizi (spesso assenti), che dovrebbe tutelare i bambini e la famiglia.

Tutti, in questo caso venuto alla luce, si sono rivelati ladri di bambini e correi coperti dalla norma.

Bastava così poco: credere alla bambina ("il disegno non l'ho fatto io") e una perizia calligrafica (poche ore di lavoro). Poche ore per sciogliere il grave dubbio. Ma sono passati due mesi. Due mesi di vuoto, di disorientamento, di colpa, di paura, di angoscia, di impotenza.

Sono 40.000 i bambini e le bambine che vengono sottratti alle famiglie ogni anno. Tanti a ragione, molti altri invece subiscono (chi più chi meno) la stessa sorte dei due fratellini di Basiglio e dei loro genitori. Bambini che, anche solo di fronte al sospetto, vengono allontanati e tenuti mesi nelle comunità per minori. Se il mostro è in famiglia, non vengono allontanati gli orchi, ma i bambini, sono loro che vengono puniti e strappati dal loro ambiente naturale.

Qualcosa non va nella macchina della prevenzione socio-educativa, della giustizia, che invece di tutelare i minori attua, come in questo caso, degli abusi veri e propri. Perchè per me di abuso si tratta. E questa è solo la punta dell'iceberg. Ma pochi ne parlano.

Altre domande: Come mai la bambina autrice del disegno ha agito così? Con quali contenuti sessuali inadatti alla sua età è venuta a contatto per arrivare a tanto? Cosa c'è dietro? TV cattiva maestra? Bullismo? Genitori imprudenti? Violenze subite e non rivelate? Compagnetti troppo precoci? E gli adulti, tutti, dov'erano? Ai tecnici le risposte del caso.

Siamo, ancora una volta,
di fronte a sintomi, effetti, di un progetto sociale ed educativo che si va pian piano sgretolando.

A quando un controllo ed una maggiore attenzione sulle procedure dei tribunali dei minori e nei servizi sociali? Questo è un diritto dei cittadini, un diritto dell'infanzia, un diritto alla giustizia.

Il grado di sviluppo di una civiltà, di una comunità, si vede dal suo grado di considerazione verso i bambini, da quanto li protegge, dalle opportunità e dagli spazi che riserva loro.


"Per far crescere un bambino ci vuole un intero villaggio."
Proverbio Africano



Fonti notizia:

foto:
L'uscita del bambino dalla comunità di Segrate (corriere della sera - fotogramma)

Il disegno osè era una trappola


Figli sottratti ai genitori: tutela o abuso?

Fratellini di Basiglio: torna a casa anche il fratello ma la vicenda non è chiusa







mercoledì 23 aprile 2008

Sul rapporto Scuola Famiglia

Lavorando nelle scuole, tra le principali aree delle quali mi occupo vi è il rapporto scuola/famiglia. E' questo uno degli ambiti dove maggiormente si possono ottenere più soddisfazioni e risultati sul piano professionale, educativo ed umano. Per tutti.

Il discorso pedagogico nasce e si sviluppa principalmente dalla cura di questa dimensione. L'alleanza, l'intesa, l'accordo, il confronto tra la famiglia e la scuola sono le basi sulle quali costruire progetti, strategie, interventi e didattiche ancorate alla realtà. Senza la cura di questo rapporto non credo si possa parlare di senso pedagogico e di progettualità sufficientemente forti.

In un'esperienza di gestione di gruppo all'interno di diverse scuole proposi, tempo fa, ed assieme ad altri colleghi, un'attività di form-azione centrata sulle differenze tra stili educativi e comunicazione famiglia/scuola.

Il risultato del lavoro, costruito interamente dai partecipanti (insegnanti e genitori), fu il seguente:

- difficoltà di comunicazione tra famiglia e scuola

- più momenti di incontro con i genitori per parlare non solo di profitto……..

- mancanza di dialogo tra genitori e insegnanti e scarsa partecipazione alla "vita scolastica"

- timore e difficoltà da parte del genitore di affrontare il discorso su qualsiasi problema emerso; sia ha la paura che vengano penalizzati i bambini

- scarsi interesse e partecipazione da parte dei genitori

- necessità di riservatezza e rispetto nei confronti dei bambini e dei genitori quando si esprimono giudizi sul singolo


Dopo tanti anni di ricerca, progetti e lavoro, nella Scuola siamo ancora a questo punto. Certo, non è così dappertutto. Ma tali difficoltà, seppur espresse in un determinato contesto, ho avuto modo di constatare che sono presenti in tante realtà e, a tutt'oggi, ancora poco viene fatto per affrontarle in modo attivo. Inoltre, sul piano formale, nelle dichiarazioni d'intenti espresse sulla carta, nei P.O.F e nelle documentazioni ufficiali tutto ciò non compare o compare in modo velato.

Nel campo, ancora si assiste ad una chiusura da parte della famiglia e della scuola verso la sperimentazione di nuovi percorsi: cartelli di divieto, impossibilità di incontrarsi, orari poco flessibili, comunicazioni scuola famiglia unidirezionali, scarsa fiducia, non valorizzazione del ruolo dei rappresentanti dei genitori, assenza della famiglia e così via.

Queste difficoltà richiedono una pausa di riflessione, un agire in modo condiviso, una progettazione partecipata senza le quali non potranno mai emergere i veri bisogni di ciascuna agenzia educativa quale vuole essere la Scuola. Una agenzia educativa che fa sentire la sua voce nel territorio e che influenza il sociale, anzi, vi si allea.

Senza un'analisi ed un intervento approfonditi tali difficoltà sono destinate, nel tempo, ad amplificarsi ed a rendere ancor più difficile il compito, se ancora ci si crede, della formazione e dell'educazione dei piccoli di oggi e dei grandi di domani. E di noi stessi. E si, perchè porsi l'obiettivo di formare qualcuno implica e costringe, necessariamente, a mettersi in gioco anche in prima persona. Sempre.

La società sta cambiando e c'è un forte bisogno di ricostruire una trama che nel tempo si è ormai sfilacciata. Sono lontani i tempi in cui la scuola era un luogo di sperimentazione, di attivismo, di politica sociale, di incontro.

Ma chi lavora nel campo educativo e crede nella forza delle idee e nel cambiamento sa che più è scura la notte, più vicina è l'alba.




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venerdì 21 marzo 2008

Il diritto alla noia.



Su Pedagogica arrivano di frequente richieste da parte di genitori che non sanno cosa fare quando il bambino si annoia.

Siamo tutti d'accordo che la noia in sè possa essere un sentimento sgradevole. Ma è un'esperienza della vita ineluttabile e certamente necessaria.

Una vita senza noia sarebbe una noia.

Spesso i bambini, anche nei momenti meno opportuni della giornata, vorrebbero che i genitori si trasformassero in clown. Ed altrettanto spesso i genitori si sentono in colpa per il fatto di non essere all'altezza di ricoprire questo ruolo.

Contrariamente a quanto molti genitori credono, l'esperienza della noia può rivelarsi un'occasione formativa. E ovviamente, come per tutte le cose, è la dose che fa il veleno (o la medicina).

Tanti bambini, dopo la scuola ed i compiti a casa, hanno una "agenda" da fare invidia ad un manager di multinazionale tante sono le attività che richiedono il loro impegno e che, soprattutto, sottraggono loro una tra le cose più importanti della vita: il tempo.

Lunedì, mercoledì, venerdì l'attività sportiva - martedì e giovedì la scuola di musica/ballo - il sabato gli scout e la domenica (forse) riposo.

Il tutto inframmezzato da TV, internet/PC/videogame, cellulare.

Dov'è il tempo per la noia, il tempo per stare con i genitori anche senza alcuna attività, per giocare ed annoiarsi con i propri amici o in solitudine?

I momenti di noia in realtà, oltre ad essere occasioni in cui il bambino può riflettere, stare solo con se stesso e rilassarsi, sono l'anticamera della creatività in quanto "costringono" ad inventare nuovi scenari e giochi che difficilmente troverebbero spazio.

Se poi volete interrompere la noia del vostro bimbo (e la vostra) , nel video un ottimo e semplicissimo esempio pratico.


Citazioni a favore della noia:

Bertrand Russell

Una certa capacità di sopportare la noia è indispensabile per avere una vita felice, ed è una delle cose che si dovrebbero insegnare ai giovani. Tutti i grandi libri hanno dei capitoli noiosi e tutte le grandi vite hanno avuto dei periodi poco interessanti.

Oscar Wilde
Se non sopporti la solitudine, probabilmente annoi anche gli altri.

Virginia Woolf
La noia è il regno legittimo del filantropo.






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martedì 19 febbraio 2008

Bambini meno intelligenti per colpa dello smog

Da uno studio pubblicato sull'American Journal of Epidemiology i bambini esposti ad un intenso traffico, e quindi smog, ai test sul Q.I. (quoziente intellettivo) hanno mostrato punteggi inferiori rispetto ai bambini che respirano aria più pulita.

In sostanza i bambini che vivono dove c'è poco smog, sostengono gli autori della ricerca, sarebbero più intelligenti di altri che vivono in un contesto inquinato.

Questa ricerca è un'ulteriore tassello che rafforza la convinzione che molte città stanno ormai diventando ambienti inadatti (piccoli appartamenti, mancanza di spazi verdi dove giocare, mancanza di sicurezza, rete sociale malata, etc.) per le reali esigenze di un bambino e quindi anche di tutti noi.

Fonte: rainews

Per ricerche sugli effetti dell'inquinamento sulla salute visita questo sito di Legambiente




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sabato 26 gennaio 2008

Poco tempo per progettare cambiamenti......

Ho spesso riscontrato che nelle Scuole Medie il tempo che gli insegnanti dedicano per discutere degli alunni è troppo poco; insufficiente per affrontare le strategie educative e didattiche necessarie per la gestione dei gruppi classe. Classi composte da preadolescenti e adolescenti, nel pieno della vitalità della loro crescita.

In tante Scuole Medie al consiglio di classe viene dedicata 1 ora al mese, a volte anche meno. Di quanti argomenti è possibile discutere in un' ora in modo coordinato ed efficace? Considerato che ogni classe ha una media di 18/20 alunni?

Al più qualche altra occasione di parlare la si ritaglia nei corridoi e durante i cambi orari. E che dire delle presenze dei rappresentanti dei genitori? Che margini hanno realmente?

In molti team insegnanti elementari, 8 ore al mese vengono destinate alle programmazioni. Salvo particolari situazioni questo è un tempo sufficiente per organizzare, programmare e coordinare l'attività didattico/educativa generale. E la differenza si vede.

Immaginiamo in classe qualche alunno del libro "La classe fa la ola mentre spiego", dove vengono riportate vere note disciplinari scritte sui registri della nostra scuola media:


* L'alunno L., assente dall'aula dalle ore 12.03, rientra in classe alle ore 12.57 con un nuovo taglio di capelli.

* Un alunno non meglio identificato giunge in classe vestito da clown e dopo aver urlato: "Ciao bambini!!", esce dalla finestra.

* L'alunno F., dopo aver divelto un banco, si autoproclama Uomo Roccia. Poi, con tono irriguardoso, minaccia di trasformarmi nella Donna Invisibile qualora lo dovessi interrogare. Urge colloquio con i genitori.

* M. durante l’intervallo e davanti a numerosi presenti ha volgarmente insultato con termini irripetibili la bidella, rea di aver pulito il suo banco cancellando tutti gli appunti da utilizzare per il compito in classe della terza ora.

* L’alunna J. indossa francobolli al posto dei vestiti. I compagni sono distratti.


* Il sottoscritto professor M. si mette una nota sul registro da solo, perché non è in grado di tenere con ordine e serietà la classe.

* Si segnala la mancanza del crocefisso, occultato dalla classe. Al suo posto c’è un cartello recante le parole «Torno subito».


Per affrontare strategicamente tali situazioni, un 'ora al mese, credo sia veramente poco. E queste "simpatiche" note disciplinari ne sono un chiaro esempio.




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sabato 12 gennaio 2008

E' giusto utilizzare streghe e lupi per convincere i bambini?

Oggi vorrei prendere spunto da una domanda comparsa nel forum di Genitori On Line e nel quale ho espresso la mia opinione in merito.

Diverse paure sono già presenti nei bambini. E sono tante, in base all'età e variano da bambino a bambino:

Dal 1° al 3° anno di vita:

- del vasino
- dell'abbandono
- del buio
- del potere "magico" del loro pensiero
- di sparire o essere annientati
- del sonno
- degli animali
- degli elettrodomestici

Dal 3° al 6° anno di vita:

- dell'abbandono
- degli animali
- del buio e dell'ignoto
- legate alla sessualità
- della morte
- legate all'immaginazione

etc., etc.

Non credo che lupi mannari, streghe, uomini neri, mamme del sole e via dicendo debbano essere aggiunti al già ricco repertorio che madre natura ci ha dato dalla nascita; e non credo che tali richiami siano strumenti che un genitore debba avere nella sua cassetta degli attrezzi di educatore.
Certo, magari si ottiene ciò che si vuole ma a quale prezzo?



PS: comunque se anche ciò fosse capitato ricordiamoci che guardare al passato serve solo per il tanto necessario: nessuno ci ha mai detto o insegnato come fare in certe situazioni "critiche". Salvo l'aver interiorizzato lo stile educativo di genitori ed educatori che hanno influenzato la nostra crescita.

Decidete di non utilizzare più questa strategia (?) cercando di adottarne altre. So che non è semplice soprattutto quando si è stanchi o si hanno un sacco di pensieri per la testa.

In educazione, di queste situazioni ve ne sono una miriade e ogni bambino, proprio perchè diverso, ne "inventa" sempre di nuove. In famiglia e a scuola.

Io vivo in Sardegna e da noi per spaventare i bambini (ogni cultura ha la sua sadica e antica tradizione) si nominava spesso, tra gli altri vari spauracchi, il "momoti": un omino tutto nero che nella semioscurità sbucava, immaginate da dove? Dagli armadi delle camere da letto. "Brrrr che paura!!"

Molti adulti non riescono a dormire se non hanno le ante degli armadi chiuse. Chissà, magari anche a loro, da piccoli, hanno parlato di un "momoti". n


Post di Genitori On Line




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