La dott.ssa Giovanna Cataldi* mi ha inviato un suo contributo sul tema del rapporto tra bambini e TV. La ringrazio e ne approfitto per alcune considerazioni.
E' evidente ormai da anni come la TV (ma assieme ad essa anche gli altri media) sia e sia stata capace di orientare l'opinione pubblica, il comportamento dei cittadini, siano essi bambini, giovani, adulti, anziani.
Le responsabilità educativo/formative sul piano pedagogico, che è l'ambito di nostro interesse, sono certamente notevoli.
E quando parlo di piano pedagogico mi riferisco ad un modello libero ma regolato, fondato sul rispetto dei diritti fondamentali della persona, non autoritario ma autorevole, trasparente, aperto - ma pur sempre vigile e critico - ai risultati delle ricerche in campo scientifico, multidisciplinare ma, soprattutto, condiviso.
Chi si occupa di educazione non può non farsi domande su questo tema; il problema è che ci sono poche occasioni di confronto realmente incisive.
Per questi motivi, pubblico volentieri questo articolo della Dr.ssa Cataldi; e anche perchè, a mio avviso, si intravvedono alcune idee traducibili in progetti educativi d'intervento.
Buona lettura!
informare = formare la coscienza
Televisione e pedagogia: un breve sguardo d’insieme
La tv, nel rapporto quotidiano con i suoi fruitori, svolge una inevitabile funzione informativa che può essere anche educativa in quanto educare, nell’accezione derivante dalla parola latina edere, significa “alimentare” (nutrire quindi, in tale situazione, con un alimento di natura mediatica) e, nell’accezione derivante da ex ducere, significa “trarre fuori” (da uno stato di immaturità, e, nel nostro caso, si tratta di una immaturità nel comprendere e nel percepire il messaggio televisivo).
La televisione è paragonabile ad un’arma a doppio taglio in quanto si dimostra indiscutibilmente utile, ma è realmente necessario saperla maneggiare ed adoperare correttamente.
Nulla è nocivo ai buoni costumi quanto assistere oziosi a certi spettacoli. […] scrisse questo, Seneca, in una lettera a Lucilio in cui è chiaro il ruolo assunto dall’educazione intesa come mezzo che aiuta l’intelletto a dissipare le tenebre dell’ignoranza, di quell’ignoranza evocata dall’essere spettatore (televisivo oggi) passivo che non fruisce del prodotto ma che ne è invece “fruito”.
L’educazione ad un corretto uso della televisione è una meta auspicabile e raggiungibile che può permettere, ai nostri bambini, di divenire fruitori critici e consapevoli, attivi e responsabili cittadini della realtà mediatica in cui, spesso, si trovano a vagare.
Il compito di colui che educa non è quello di rendere immuni i suoi utenti dal virus televisivo ma, bensì, quello di aiutare i ragazzi a saper maneggiare il loro “strumento cerebrale” in modo che essi sappiano leggere dietro le parole e le immagini televisive e siano in grado di distinguere il reale dal fantastico.
La nostra attenzione deve essere posta sul processo educativo che, se opportunamente strutturato e progettato con l’obiettivo di rendere autonomi e consapevoli i fruitori del tubo catodico, può essere un’àncora di salvezza per le generazioni future (ma anche per chi oggi è “già grande” perché, ricordiamoci che, il percorso educativo, di crescita e di sviluppo, si protrae per tutto l’intero arco della vita).
*Dott.ssa Giovanna Cataldi.
Pedagogista esperta in Dsa e in Disturbi familiari, laureanda in Scienze della Formazione Primaria e specializzanda in sostegno disabili.
giovedì 20 novembre 2008
mercoledì 5 novembre 2008
Riflessioni sulla diversità
Ho ricevuto dalla dott.ssa Nicla Lattanzio* un interessante articolo sul tema della diversità. Gli argomenti trattati rimarcano ancora una volta la necessità della collaborazione tra i diversi attori che nella Scuola sono chiamati a co-costruire il progetto educativo e terapeutico rivolto agli alunni con bisogni speciali.
Le implicazioni per una riflessione sulle diversità: l’occhiale del deficit non è sempre l’occhiale dell’handicap.
Nelle classi coesistono numerose realtà, assai differenti tra loro: bambini in situazioni di handicap, disturbi d’apprendimento, deficit d’attenzione, deficit di autostima, ecc…difficoltà, cioè, che spaziano da problemi intellettivi a problemi socio-culturali (pensiamo ai bambini immigrati).
Cosa occorre fare? Occorrono risposte diversificate e speciali a bisogni diversificati e speciali. Attivare risposte congrue ai differenti bisogni, serve a non chiudersi in un consorzio “monocausale” ma implica l’attivazione pro lavoro che va per macroaree:
Da sottolinearsi l’area del ruolo familiare, il quale non può e non deve essere sottomesso e negato dalle altre aree di lavoro, come l’Asl e la Scuola. Nel team lavora, anzitutto, la famiglia: vero primo oggetto della produzione collaborativa.
Implica la possibilità di mettere a disposizione alla persona in situazione di handicap i suoi diritti:
Implica una conoscenza per un progetto:
Implica un’ adeguata osservazione atta alla conoscenza della problematica:
1. osservazione preferibilmente descrittiva;
2. vanno trascritte al momento, contro ricordi dubbiosi;
3. evitare di “andare a memoria”;
4. rilevare competenze e potenzialità del bambino;
5. fare un bilancio;
6. aiutarsi strutturando l’osservazione con test, griglie, e materiali che tendono a rilevare le abilità del bambino;
7. osservare il bambino ma anche il suo contesto socio – relazionale.
Implica la grande capacità di non giudicare il bambino ma conoscerlo e riconoscere prima di tutto le caratteristiche “buone” e valorizzarle. Essere educatori competenti significa essere supervisori delle positività per creare situazioni di ben-essere; ma anche avere padronanza della situazione con autorevolezza evitando il dominio delle emozioni del bambino.
Essere educatori validi implica la competenza del saper accogliere,conducendo il proprio pensiero verso qualcosa di più complesso, per impossessarsi di una realtà non comune ma possibile; questo è andare oltre il pensiero semplice, porsi la questione della validità circa il monocromatico.
L’offerta di possibilità plurime aiuta i genitori ad aiutare i propri figli con disabilità e non a toglierla; li aiuta nel riuscire ad essere genitori di un bambino (figlio) con certe problematiche. Condurli verso posizioni intermedie e non estreme, evitando sia quelle negative (disperazione) sia quelle positive (miracolo)!
La ricchezza della molteplicità metodologica è uno stile atto al favoreggiamento di atteggiamenti relativi all’handicap: continuativi e reali il più coerentemente possibile, per valutare obiettivi successivi, che permettano ai genitori di idealizzare progetti di vita per il figlio disabile.
* Educatrice a Bologna, laureata in Scienze della Formazione e specializzanda in Pedagogia. Articolo redatto in seguito alla frequenza di corsi c/o Memo 2007, su temi circa le Disabilità.
Le implicazioni per una riflessione sulle diversità: l’occhiale del deficit non è sempre l’occhiale dell’handicap.
Nelle classi coesistono numerose realtà, assai differenti tra loro: bambini in situazioni di handicap, disturbi d’apprendimento, deficit d’attenzione, deficit di autostima, ecc…difficoltà, cioè, che spaziano da problemi intellettivi a problemi socio-culturali (pensiamo ai bambini immigrati).
Cosa occorre fare? Occorrono risposte diversificate e speciali a bisogni diversificati e speciali. Attivare risposte congrue ai differenti bisogni, serve a non chiudersi in un consorzio “monocausale” ma implica l’attivazione pro lavoro che va per macroaree:
Da sottolinearsi l’area del ruolo familiare, il quale non può e non deve essere sottomesso e negato dalle altre aree di lavoro, come l’Asl e la Scuola. Nel team lavora, anzitutto, la famiglia: vero primo oggetto della produzione collaborativa.
Implica la possibilità di mettere a disposizione alla persona in situazione di handicap i suoi diritti:
- uguaglianza e non discriminazione;
- pari dignità sociale;
- rimozione delle condizioni invalidanti che impediscono lo sviluppo della persona umana;
- rispetto della dignità umana;
- partecipazione alla vita della collettività;
- massima autonomia possibile;
- istruzione, educazione e avviamento professionale anche con forme integrate di flessibilità fino ai 18 anni;
- trasporto;
- superamento delle barriere architettoniche e di comunic-azione;
- integrazione in famiglia, a scuola, nel lavoro, nella società.
Implica una conoscenza per un progetto:
- conoscenza del deficit;
- raccolta delle informazioni [ incontri famiglia, insegnanti, Asl - documentazione pregressa, documentazione dossier completo, clinica];
- individuazione dei bisogni e delle competenze [analisi della diagnosi funzionale – osservazione descrittiva e/o strutturata ].
Implica un’ adeguata osservazione atta alla conoscenza della problematica:
1. osservazione preferibilmente descrittiva;
2. vanno trascritte al momento, contro ricordi dubbiosi;
3. evitare di “andare a memoria”;
4. rilevare competenze e potenzialità del bambino;
5. fare un bilancio;
6. aiutarsi strutturando l’osservazione con test, griglie, e materiali che tendono a rilevare le abilità del bambino;
7. osservare il bambino ma anche il suo contesto socio – relazionale.
Implica la grande capacità di non giudicare il bambino ma conoscerlo e riconoscere prima di tutto le caratteristiche “buone” e valorizzarle. Essere educatori competenti significa essere supervisori delle positività per creare situazioni di ben-essere; ma anche avere padronanza della situazione con autorevolezza evitando il dominio delle emozioni del bambino.
Essere educatori validi implica la competenza del saper accogliere,conducendo il proprio pensiero verso qualcosa di più complesso, per impossessarsi di una realtà non comune ma possibile; questo è andare oltre il pensiero semplice, porsi la questione della validità circa il monocromatico.
L’offerta di possibilità plurime aiuta i genitori ad aiutare i propri figli con disabilità e non a toglierla; li aiuta nel riuscire ad essere genitori di un bambino (figlio) con certe problematiche. Condurli verso posizioni intermedie e non estreme, evitando sia quelle negative (disperazione) sia quelle positive (miracolo)!
La ricchezza della molteplicità metodologica è uno stile atto al favoreggiamento di atteggiamenti relativi all’handicap: continuativi e reali il più coerentemente possibile, per valutare obiettivi successivi, che permettano ai genitori di idealizzare progetti di vita per il figlio disabile.
* Educatrice a Bologna, laureata in Scienze della Formazione e specializzanda in Pedagogia. Articolo redatto in seguito alla frequenza di corsi c/o Memo 2007, su temi circa le Disabilità.
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