Vi segnalo un interessante articolo su Cronache Pedagogiche di Igor Salomone dello Studio Dedalo di Milano sulla vicenda dei bambini di Adro ed esclusi dalla mensa scolastica. L'articolo, con un taglio squisitamente pedagogico come pochi se ne trovano, mi ha offerto lo stimolo per una riflessione che qui riporto.
Credo che la principale causa di questo disastro italiano, sia la mancanza di un progetto unitario formativo. Un progetto forte, libero, democratico, autonomo, quasi auto-generantesi ma, soprattutto, partecipato e condiviso. E tale progetto, se lo si volesse seriamente costruire, richiederebbe da parte dello Stato – necessariamente, quantomeno per presentarsi come azione credibile – anche risposte di tipo sociale, economico, di valorizzazione, potenziamento e ampliamento dei servizi verso chi l’educazione la vive tutti i giorni sulla propria pelle: bambini, genitori/tutori, educatori, insegnanti e coloro che operano in ambito pedagogico/educativo.
Di fronte a fatti di cronaca delittuosi che riguardano, ad esempio, pre-adolescenti l’indice della società, quasi sempre ed in modo meccanico, automatico, verso chi è rivolto?
La risposta è nota già in partenza: al primo posto la famiglia e poi la scuola. Peccato che con questa operazione da pubblico ludibrio ci si dimentichi di un terzo attore, spesso latitante, che si chiama comunità. Ed è proprio la comunità che, con l’atto irresponsabile di indicare famiglia e scuola, in realtà, indica se stessa; senza rendersi conto di minare il suo sviluppo alla base. Un loop relazionale esplosivo, praticamente quasi un suicidio.
Ed a riprova di ciò, è sufficiente una rapida occhiata all’indicatore delle violenze in famiglia e nella scuola. Famiglie sempre più spesso sole e senza servizi, scuole e agenzie educative in via di apparente demolizione. Ma chi si deve occupare di questa situazione se non anche la comunità e lo Stato? E soprattutto quando si inizia?
E intanto anche questi bambini e bambine di oggi diverranno presto adulti.
Visti certi segnali, salvo repentine rivoluzioni cultural-pedagogiche, metodologicamente, non ci resta altro da fare se non incrociare le dita.
Foto: Museo di Roma - Scuola Leopardi 1966